La Città della Parola

La Città della Parola

di Don Luca Mazzinghi

Gerusalemme, 8 ottobre. Un lungo suono di sirena lacera la quiete del tramonto: un sobbalzo improvviso… Mi trovo a Gerusalemme, in questi giorni, e un attentato è sempre possibile. Poi mi ricordo: oggi è la vigilia del giorno del Kippur. Israele celebra il giorno più solenne dell’anno, il giorno dell’Espiazione, nel quale chiede al Signore, Dio d’Israele, il perdono per i peccati del popolo. Al suono della sirena, tutto il paese si ferma, iniziando dall’aeroporto. Le strade si svuotano e una vivace processione di ebrei osservanti, coperti con il loro tallit, lo scialle della preghiera, inizia a incamminarsi dai vari punti della città fino al Muro Occidentale dove tutti pregheranno; il giorno dopo sarà il suono solenne dello shofar, il corno di ariete, a segnare la fine del digiuno.
Pochissimi giorni fa, con una coincidenza non molto comune, si era appena concluso, con una grande festa serale in quasi tutta la città vecchia, un altro digiuno, quello islamico del Ramadan; scene diverse, certo, ma non certo minor fervore.
Tutto si ferma per Kippur, eppure appena poco più in là, c’è appunto un’altra Gerusalemme, con un altro volto: la città vecchia, sia nel quartiere arabo che in quello cristiano, brulica di vita. Il mercato è aperto, la gente compra e passa in fretta come se neppure si accorgesse della grande festa ebraica. Nella Via Dolorosa continua senza sosta la processione dei tanti gruppi di pellegrini cristiani che si recano al Sepolcro e che in gran parte non si rendono conto di ciò che accade intorno a loro, nel paese che stanno percorrendo. Il tutto avviene sotto lo stretto controllo dell’esercito israeliano, che in questi giorni ha isolato la Gerusalemme araba dal resto del paese.

Gerusalemme, 12 ottobre. Sono stato oggi a celebrare la Messa nella parrocchia arabo-cristiana di Bet Jala, nei territori palestinesi. L’autobus di linea arabo che avevo preso è stato fermato dai militari israeliani: un’ora di controlli, armi spianate.
Questa è Gerusalemme: città unica al mondo, nella quale si incrociano gran parte delle contraddizioni e delle sofferenze dell’umanità. Da un certo punto di vista, vivere almeno per un po’ a Gerusalemme, fa certo nascere il dubbio che gli esseri umani possano mai un giorno essere davvero in pace e che le grandi religioni siano prima o poi in grado di amarsi e lavorare insieme per l’uomo; Gerusalemme è un antidoto contro ogni illusione religiosa.
Eppure, dalle finestre del Pontificio Istituto Biblico, nel quale insegno e dove risiedo in questo mese, vedo le mura della Città Santa, presso la porta di Giaffa. «Sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto sentinelle; esse non devono mai tacere, devono ricordare al Signore le sue promesse»; sono le parole del libro di Isaia che questa vista mi fa venire in mente.
A Gerusalemme, Dio ha parlato agli uomini; gli abitanti di Gerusalemme divengono spesso, anche senza saperlo, come sentinelle che devono ricordare a questo Dio le sue stesse promesse: la città dovrà diventare la gloria di tutta la terra. Gerusalemme, terra di contraddizioni, è così anche città della Parola, del dialogo con Dio. È il luogo dove Dio ha parlato, anzi, dove per noi cristiani il Dio d’Israele si è mostrato agli uomini fino a passeggiare nella loro città – e a morirvi, in Cristo.
Stando a Gerusalemme, la Parola di Dio diventa cosa viva. Proprio in questi giorni si sta svolgendo, a Roma, il Sinodo dei Vescovi dedicato alla Scrittura nella vita della Chiesa. Gerusalemme, con l’incontro e lo scontro delle sue tante fedi, con le sue contraddizioni e le sue angosce, ci suggerisce che la Parola non va letta come se fosse una Verità immutabile, della quale l’autorità religiosa – chiunque essa sia – si sente l’unico e autentico depositario. Gerusalemme è lo specchio vivente di ciò che accade quando una religione o un popolo vede sé stesso come il solo custode legittimo della Verità: odio e guerre, sofferenze senza fine, in nome di un Dio che è diventato in realtà soltanto un idolo.
La Parola di Dio è calata invece nelle pieghe della storia; ciò vale per Israele e in particolare, per noi cristiani, che crediamo nella Parola fatta carne, in Cristo. Nella città santa tutto parla di Dio perché Dio in essa si è immerso. Allo stesso modo, tra le Scritture e la storia, tra le Scritture e la vita dell’uomo, esiste un rapporto a doppio senso: Gerusalemme interroga Dio, come le sentinelle di Isaia, e Dio interroga a sua volta Gerusalemme, la invita a trovare la via della pace. Così la nostra vita interroga le Scritture ed esse interpellano la vita. La Bibbia diventa efficace non quando si chiude nella gabbia delle istituzioni religiose, ma quando interagisce con la vita dei credenti e delle loro comunità; nasce dalla vita e alla vita offre speranza e chiama a conversione.
Qui a Gerusalemme la vita è certo più dura che in altre parti del mondo: i conflitti quotidiani tra Israele e Palestina, il muro della discordia tra due paesi, le sofferenze di due popoli che durano ormai da sessant’anni… Ciò che si respira a Gerusalemme fa impallidire l’attuale crisi economica che tanto ci spaventa e che ormai neppure le quotidiane menzogne dei nostri spesso ignobili politicanti, dediti di mestiere alla ricerca del proprio personale interesse, bastano più a coprire. Eppure proprio qui, a Gerusalemme, si comprende bene come Dio, con la sua Parola, continua a mandare avanti la storia, perché con la storia degli uomini, a Gerusalemme, Egli si è per sempre compromesso. E in questo modo la Scrittura continua ad essere per noi quel “lieto annunzio” che dà al mondo una speranza sempre nuova.

Gerusalemme, 13 ottobre. Si è appena concluso Kippur e subito si apre un’altra festa ebraica, Sukkot, la festa delle Capanne! Ogni famiglia ebrea costruisce una capanna di frasche in giardino, in terrazza, nel cortile… e là vi abita tutta la settimana. Questo per ricordare il soggiorno di Israele nel deserto e il dono della Legge fatto al Sinai.
Festa di grande gioia; Gerusalemme ebraica è più animata del solito e anch’io ho fatto la mia visita in sinagoga. Il moltiplicarsi delle capanne, in città, ricorda anche che ogni israelita, chiunque sia, viene salvato da Dio e che l’essere su questa terra è sempre qualcosa di provvisorio, come lo è una tenda. Solo Dio è eterno.
Qui a Gerusalemme si apprende così la provvisorietà di ogni nostra realizzazione umana, e insieme l’eternità della Parola di Dio e la necessità di viverla insieme, come popolo, tutti sotto una tenda. Non è per caso che il vangelo di Giovanni ricorda a noi cristiani che «la Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14).

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