Il sogno di Natale dei bambini di Betlemme: tornare a scuola

Il sogno di Natale dei bambini di Betlemme: tornare a scuola

Lezioni sospese per i blocchi e gli attacchi. Senza più studenti l’istituto “Effetà” che restituisce la parola ai piccoli sordi. Ferma anche la Casa francescana del fanciullo per i ragazzi fragili

A Betlemme i ragazzi palestinesi per strada. Dall’inizio della guerra non possono frequentare più gli istituti scolastici per ragioni di sicurezza o per i blocchi agli spostamenti /Ansa

di Nello Scavo

A Betlemme il Natale porta un sogno: tornare a scuola. Perché la guerra ha svuotato le aule. Dal 7 ottobre migliaia di bambini in tutta la Palestina non frequentano più gli istituti educativi. Lo stesso nei centri israeliani al ridosso del confine con la Striscia di Gaza, dove gli estremisti armati di Hamas hanno trucidato più di 1.200 civili e ne hanno rapito oltre 240. Ma in Cisgiordania il tema dell’evasione scolastica forzata è più sentito. «Fino a due mesi fa impiegavo 15 minuti ad accompagnare i bambini davanti alla scuola delle suore italiane, ma adesso con i posti di blocco dei soldati e dei coloni israeliani venuti a prendersi perfino i pascoli, ci vuole più di un’ora», racconta Ibrahim, meccanico di Gerusalemme rimasto senza lavoro a causa della scure sui permessi a danno dei lavoratori palestinesi pendolari.

L’istituto “Effetà Paolo VI” di Betlemme è una scuola specializzata per la rieducazione audiofonetica dei bambini audiolesi residenti nei Territori Palestinesi. «Le finalità principali del centro – spiegano le religiose Dorotee – sono la formazione e la preparazione degli studenti ad affrontare la società con la consapevolezza che la sordità non è un ostacolo per un’affermazione personale nell’ambiente civile». Ma da due mesi la gran parte dei bambini non si vede più e per questo genere di istruzione le lezioni a distanza non sono una soluzione. L’istituto accoglie ogni anno circa 200 bambini audiolesi. Provengono da diverse zone dei Territori Palestinesi: Betlemme, Beit Jala, Beit Sahour, Ramallah, Hebron, fino a Gerico, al confine con la Giordania.

Ancora una volta tocca ai giovani provare a trovare delle vie alternative. Molti si danno appuntamento nel centro culturale Ibdaa, all’ingresso di uno dei campi profughi del distretto. Una dozzina di pianoforti, decine di cembali, una gran quantità di strumenti musicali e progetti sportivi fanno di questo luogo un aggregatore nel quale collaborano anche organizzazioni di ispirazione cristiana.

Quest’anno il Natale sarà privo di celebrazioni in piazza. Niente albero, luminarie spente, canti rinviati. I lutti provocati dal conflitto hanno consigliato di svolgere solo i riti religiosi, rinunciando anche ai momenti di festa con la comunità islamica, che da sempre caratterizzano il Natale di Betlemme. Qui c’è anche la Casa francescana del fanciullo, una delle tante istituzioni sociali della Custodia di Terra Santa. Nata nel 2007, ha per scopo la cura dei bambini e degli adolescenti con situazioni di disagio familiare. Si trova a pochi metri dalla Basilica della Natività, alcuni bambini soggiornano anche di notte nella casa, mentre altri la frequentano dal doposcuola fino a sera e poi fanno ritorno nelle loro famiglie. Questa, almeno, era la routine prima dello scontro armato. Ma senza istruzione e senza cura i ragazzi non hanno chance nel loro futuro. Proprio quello che vogliono i fondamentalisti, sempre in cerca di nuovi adepti da pescare dove il malessere è più profondo.

La Basilica della Natività, una volta meta affollata con code di ore per una preghiera sul luogo della nascita di Gesù, ora appare completamente vuota. Ma per Francesco Patton, il custode di Terra Santa, è proprio questo il tempo della speranza che deve farsi concreta. «Nella situazione di conflitto che la Terra Santa sta vivendo – ha scritto facendo una promessa – è urgente che noi francescani stiamo vicini alle comunità cristiane che vivono in questa terra».

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