Mettiamo in rete le città del Mediterraneo

Mettiamo in rete le città del Mediterraneo

Padre Ibrahim Faltas e Lapo Pistelli

Toscana Oggi n.30 del 3 Agosto 2008
Speciale Fondazione Giovanni Paolo II

Un attento sguardo sul mondo non può trascurare il Mediterraneo. Non è semplicemente il confine meridionale dell’Europa. Come spiega la radice latina del nome, è il mare che sta «in mezzo alle terre»; è membrana osmotica tra il Nord e il Sud del mondo, da sempre crocevia di culture e traffici. Il Mediterraneo bagna 46.000 km di coste: se fosse possibile distenderle in linea retta, supererebbero di gran lunga i 40.000 km dell’equatore. Le sue onde bagnano 23 paesi e 5.000 isole. È il più grande mare «chiuso» del pianeta, con una superficie di 2,51 milioni di chilometri quadrati. È piccolo rispetto all’immensità degli oceani – rappresenta l’1% delle acque del globo – ma vi passa il 15% dei traffici marittimi globali.
È significativo ricercare la portata del Mare Nostrum e delle sue genti nel quadro internazionale mentre si celebra il cinquantesimo anniversario del primo Colloquio Mediterraneo voluto da Giorgio La Pira. In cinque decenni gli scenari e gli equilibri sono cambiati, ma il Mediterraneo rappresenta sempre un caleidoscopio in grado di fornire le chiavi di lettura delle sfide politiche, economiche, sociali e culturali del nostro tempo.
Il «Mediterraneo allargato» è una regione investita da innumerevoli focolai di crisi. Si comincia dai Balcani ancora instabili nelle nuove realtà nazionali – Kosovo, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Macedonia – e con lo Stato-pivot della regione, la Serbia, ancora prigioniero del suo passato. Spostandosi verso oriente, troviamo in sequenza l’ultimo «muro» europeo a Cipro, la complessa transizione della Turchia verso l’Unione europea, l’infinito conflitto israelopalestinese. La sponda sud del Mediterraneo lancia oggi due diversi tipi di allarme: il rischio di un proliferare di organizzazioni terroristiche nel Maghreb e – soprattutto – gli incontrollati flussi migratori. Con l’estate, puntualmente, sono ripresi con più frequenza i «viaggi della speranza» sulle carrette del mare e i naufragi. Hanno fatto il giro del mondo le foto dei migranti abbandonati dagli scafisti e appesi a una gabbia per tonni. Centinaia di donne, uomini e bambini scompaiono tra i flutti. Altri continuano ad approdare sulle nostre coste, mentre – a livello nazionale ed europeo – manca ancora una corretta ed efficace politica dell’immigrazione legale. Tra le sponde europea ed africana riverberano antagonismi politici e culturali. Il «sud» si sente vittima di politiche imperialistiche e neocolonialiste, di complotti contro la nazione araba, di ingerenza negli affari interni. Il «nord» esprime sempre più sordi risentimenti nei confronti dell’incapacità delle leadership dei paesi della sponda sud di garantire la crescita economica e di avviare il processo di «liberalizzazione» politica e civile: una regione di astuti autoritarismi che controllano le elite attraverso gli affari, ammettendo un certo grado di pluralismo politico che tuttavia esclude i veri concorrenti al controllo del potere. Regimi – quello libico in particolare – xenofobi e al contempo tolleranti con i nuovi mercanti di schiavi.
Fin qui l’analisi sintetica. Ma noi abbiamo il compito di individuare le strategie, rivolte all’obiettivo di una regione mediterranea che possa essere protagonista pacifica, democratica e competitiva nello scenario internazionale: un nuovo hub mondiale, un percorso prioritario per l’Ue e per l’Italia, ponte naturale tra Africa ed Europa, che passa attraverso una serie di nodi strategici. Si tratta di definire e affermare il ruolo geopolitico della regione euro-mediterranea nel contesto della globalizzazione, risolvere le crisi regionali, promuovere riforme politiche e rispetto dei diritti umani, combattere il radicalismo islamico, gestire i flussi migratori, favorire il dialogo fra culture, sostenere uno sviluppo virtuoso degli scambi commerciali a partire dalla gestione delle risorse energetiche.
A chi spetta l’iniziativa? All’Unione europea e alla grande rete delle regioni e delle città mediterranee. Le reti di cooperazione messe in piedi dalla Ue non hanno sinora raggiunto grandi risultati concreti. Il processo di Barcellona, avviato nel 1995 per rafforzare il partenariato fra l’Ue e i suoi vicini mediterranei, non ha raggiunto gli ambiziosi obiettivi di pace, stabilità e prosperità nella regione; ha avuto tuttavia il merito di sensibilizzare, nel corso degli anni, molti paesi del Nord Europa alle problematiche dei paesi mediterranei. Al contempo Bruxelles ha la necessità di equilibrare il peso dei due principali assi di allargamento: l’est europeo e, appunto, il Mediterraneo, con Malta e Cipro tra le new entry e la Turchia in trattativa per l’adesione. Questo significa fare i conti con gli interessi dei paesi membri meridionali e quelli mitteleuropei, che non sempre coincidono.
L’attenzione dell’Ue è crescente, come dimostra l’impegno della presidenza di turno francese che punta molto sul progetto di un’Unione per il Mediterraneo. Ma anche stavolta non mancano diffidenze, resistenze e preoccupazioni. Per questo, l’Ue deve esercitare una leadership forte e ancora una volta, come nel processo di integrazione europea, partire dall’economia, dai piani di sviluppo che hanno maggiori possibilità di ottenere risultati condivisi. Ci sono i grandi progetti per la depurazione delle acque, per l’energia solare, per le infrastrutture dei trasporti e dei commerci marittimi.
L’Italia è Paese mediterraneo per eccellenza ma per troppo tempo è stato privo di una politica mediterranea coerente. Con 55 miliardi di euro nel 2007, l’Italia è il primo partner europeo per scambi commerciali verso i Paesi del Mediterraneo, ma solo il 2% dei nostri investimenti all’estero vanno in quest’area. Dobbiamo essere i capofila di una strategia che riporti il Mediterraneo al centro dell’attenzione delle istituzioni e delle politiche europee con politiche efficaci. Dobbiamo trasformare quest’area che ci circonda da epicentro di crisi e instabilità a snodo strategico politico economico e culturale del mondo. La caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda hanno comportato una evidente perdita d’importanza dell’Italia sullo scenario geopolitico internazionale: da Paese medio-grande in un mondo piccolo siamo diventati un Paese piccolo in un mondo grande. Non possiamo però guardare al futuro solo in termini di geopolitica, di economia e di sicurezza. La politica si trova di fronte a un dilemma: considerare il Mediterraneo come la frontiera meridionale dell’Europa, barriera contro clandestini, terrorismo e attività illecite, oppure costruire una nuova area di cooperazione, di sviluppo e di incontro tra popoli? Predrag Matvejevic ci ricorda che «non si scontrano le culture, si scontrano le culture trasformate in ideologie».
Oggi abbiamo occasione di sperimentare nelle nostre città ogni fenomeno della globalizzazione, nei risvolti positivi ma in maniera più accentuata nelle paure e nelle insicurezze. La risposta a queste sfide deve ripartire proprio dalle città mediterranee messe in rete, come voleva Giorgio La Pira mezzo secolo fa.
Lapo Pistelli
membro del Comitato scientifico della Fondazione Giovanni Paolo II

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