Un buon motivo per restare

Un buon motivo per restare

Scuole, ospedali, centri socio-religiosi: così in Siria, Libano, Israele e Palestina.
Grazie anche all’otto per mille. Perché i cristiani non debbano emigrare.

Damasco

È terra di antichi fasti e di recentissime guerre. Una terra abitata ininterrottamente da più di ottomila anni. Qui l’uomo, superati geroglifici e caratteri cuneiformi, ha imparato a comunicare con il suo prossimo affinando alfabeti che hanno poi generato la scrittura moderna (come provano le tavolette rinvenute sia a Ugarit, nell’attuale Siria, sia a Byblos, nell’odierno Libano). Ma sempre qui, tante, troppe volte nel corso dei secoli, ci si è abbandonati a una brutalità figlia della negazione dell’altro, non ascoltato e non compreso.
Terra di ineguagliabili bellezze e di lancinanti contraddizioni, rimane in ogni caso una terra cara a Dio tanto da potersi definire santa.
Palestina, Israele, Libano, Siria. È il Medio Oriente. L’uomo comune occidentale, dalla confusa geografia mentale, lo considera un indistinto buco nero, focolaio di una febbre che scuote con violenti brividi l’intero pianeta. Dunque un problema. Da tenere il più possibile lontano da sé.
C’è chi, però, non la pensa così. E agisce altrimenti, attivandosi. È il caso della Fondazione Giovanni Paolo II per il dialogo, la cooperazione e lo sviluppo, nata come risultato del decennale impegno – proprio in Medio Oriente – di due diocesi toscane: quella di Fiesole e quella di Montepulciano-Chiusi-Pienza.

L’attenzione ai giovani

I progetti della Fondazione sono studiati per far respirare la tribolata regione mediorientale. Nascono in stretta sintonia con chi vive sul posto, i vari Patriarcati e la Custodia di Terra Santa innanzitutto, e vengono finanziati da vari enti, la Conferenza episcopale italiana (Cei) in primo luogo. Così facendo si vuole evitare, tra l’altro, che la culla del cristianesimo si svuoti di cristiani. Cosa non di poco conto, dal momento che crescenti flussi di emigranti maroniti e caldei (per limitarci a citare alcune tra le principali confessioni cristiane presenti nell’area) non cessano di far rotta verso Usa, Canada, Australia ed Europa.
Una delegazione della Fondazione ha voluto verificare di persona quanto è stato fatto. Il viaggio è cominciato ad Aleppo, in Siria, ha poi fatto tappa in Libano, a Beirut e nella zona a Sud di Tiro, al confine con Israele, nelle aree dove forte è la presenza del movimento sciita Hezbollah, e si è infine concluso nuovamente in Siria, a Damasco, al Memoriale di san Paolo, nel santuario che papa Paolo VI volle a forma di tenda per affidare alla protezione dell’“apostolo delle genti” il dialogo ecumenico avviato, nel gennaio 1964, a Gerusalemme, dallo storico abbraccio tra lui e il patriarca di Costantinopoli Atenagoras.
«La prego, prenda un confetto». Il viso sorridente di Basma, una diciannovenne siriana iscritta al primo anno di Ingegneria civile, presso l’Università di Aleppo, assicura che gli sforzi non sono stati vani. Insieme con altre ragazze alloggia nel pensionato delle giovani costruito anche grazie agli interventi della Cei che qui ha investito parte dell’otto per mille. «Sono di un villaggio cristiano lontano, tra Hama e Homs; questa sistemazione mi aiuta a studiare con più serenità», racconta Basma al termine dell’inaugurazione della struttura (che può ospitare fino a 38 studentesse) e della posa della prima pietra della nuova cattedrale cattolica di Aleppo, che sarà intitolata a Gesù Bambino.
«In tutta la Siria, su una popolazione complessiva di oltre 19 milioni di abitanti, i cristiani sono circa 2 milioni», precisa monsignor Giuseppe Nazzaro, già Custode di Terra Santa e ora vicario apostolico di Aleppo. «L’esodo continua, ha motivazioni principalmente economiche. Qui in Siria, va detto, un peso rilevante l’ha avuto la nazionalizzazione delle scuole cattoliche decisa dopo la guerra dei Sei giorni, nel 1967. Oggi godiamo di un buon grado di libertà religiosa. Circa l’istruzione, non ci vengono restituiti gli istituti “espropriati” ma ci è concesso, se vogliamo, di aprirne di nuovi. La solidarietà concreta di enti e istituzioni come la Fondazione Giovanni Paolo II è preziosissima per moltiplicare opportunità utili ai fedeli, convincendoli a restare».
In quest’ottica s’inserisce pure l’idea di costruire un centro per la pastorale giovanile che si vorrebbe far sorgere nell’area mesopotamica siriana, non lontano dalla capitale, Damasco.
«Il nostro impegno, in realtà, spazia da Israele e Palestina, a Libano e Siria», precisa Angiolo Rossi, direttore della Fondazione che è riconosciuta sia dalle autorità israeliane sia da quelle palestinesi.

Betlemme, una scuola per artigiani

«A Gerusalemme Est, dove opera il nostro vicepresidente, il francescano padre Ibrahim Faltas, stiamo contribuendo – con uno stanziamento di un milione e mezzo di euro – alla nascita del Centro per la gioventù Giovanni Paolo II, con appositi spazi studiati per una frequentazione multiculturale e multireligiosa, con impianti sportivi e una piscina. A Betlemme, invece», continua Rossi, «stiamo pensando (con Acli, Azione cattolica e Regione Lazio) alla realizzazione di una scuola professionale per artigiani del legno e gelatai».
«Nel Sud del Libano», prosegue Angiolo Rossi, «abbiamo partecipato alla solenne posa della prima pietra del nuovo ospedale che sorgerà a Ain Ebel e che servirà 70 mila persone (la Fondazione interviene con un milione e mezzo di euro) e, a poca distanza da lì, abbiamo inaugurato il nuovo liceo di Rmeich: 300 allievi di cui circa 200 cristiani e 100 musulmani; un intervento della Fondazione pari a 100 mila euro». «Siamo consapevoli che si tratta di piccole cose, di fronte alle tante necessità di cui abbiamo ragionato con il nunzio in Libano, monsignor Luigi Gatti, con il patriarca maronita, cardinale Nasrallah Sfeir, e con diversi religiosi della Custodia di Terra Santa», riflettono monsignor Luciano Giovannetti, vescovo di Fiesole nonché presidente della Fondazione, e monsignor Rodolfo Cetoloni, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, che della Fondazione è consigliere d’amministrazione.
«Noi intendiamo comunque perseverare, con l’aiuto di altri confratelli vescovi, toscani ma non solo, e di tutta la Cei, in particolare dell’Ufficio per gli interventi caritativi per i Paesi del Terzo mondo che finanzia i nostri progetti con l’otto per mille. Si tratta di aiutare i cristiani in Medio Oriente con iniziative concrete che diano speranza soprattutto ai giovani», concludono monsignor Giovannetti e monsignor Cetoloni.

Alberto Chiara

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